L’impatto dell’attività fisica sulla Fertilità:
Effetti e influenza sulla probabilità di concepimento in uomini e donne.

Elena Dal Pan

Operando nell’ambito del fitness, ed in particolare del fitness “al femminile”, mi sono soffermata su una domanda: possono esistere delle correlazioni tra esercizio fisico e fertilità? Come può l’attività fisica facilitare la procreazione, agendo sui fattori di rischio sia dal punto di vista fisico che psicologico? Ci possono essere, invece, delle controindicazioni o delle spinte negative da questo punto di vista?

Ho cercato di avvicinare questi due mondi, analizzando in primis, cosa si intenda per infertilità e quali siano le sue cause; ho poi approfondito la definizione di esercizio fisico e le sue diverse categorie, nonché i benefici e i rischi dell’esercizio stesso. Dopo aver analizzato come il corpo umano si adatti fisiologicamente all’attività fisica strutturata, ho potuto valutare su quali fattori di rischio dell’infertilità l’operatore sportivo specializzato potrebbe andare ad operare.

Ovviamente l’argomento è amplissimo e necessiterebbe di approfondimenti macroscopici in ogni sua area; in questo lavoro ho cercato soltanto di “mettere il naso” in qualche aspetto di questo mondo, sperando, in un futuro, di riuscire a dedicarmi ancora di più allo sviluppo di una strada metodologica codificata ed efficace.

 

Sterilità ed infertilità: definizioni (infertilità primaria e secondaria), fattori di rischio

Sebbene siano spesso utilizzati in maniera intercambiabile, esiste una differenza tra i due concetti; la sterilità, infatti, è un ostacolo alla fecondazione che determina l’assoluta mancanza della capacità riproduttiva sia nella donna che nell’uomo. L’infertilità, invece, è un difetto dell’annidamento e/o sviluppo dell’embrione per cui c’è l’incapacità di proseguire la gravidanza fino ad un’epoca di vitalità del feto.

Entrambe le situazioni si possono a loro volta dividere in sterilità/infertilità primaria (quando non c’è stata nessuna gravidanza o nessuna arrivata a termine) e secondaria (quando in precedenza si è arrivati a termine di una gravidanza).

Per praticità, anche se non è estremamente corretto, nel testo parleremo di infertilità, poiché è la condizione più facilmente reversibile e su cui l’operatore sportivo può, eventualmente, avere influenza.

Ma quali sono le cause dell’infertilità?

Le cause dell’infertilità, sia primaria che secondaria, possono essere molto diverse, siano esse maschili, femminili o combinate. Possiamo riassumerle con quanto segue:

  • Disturbi ormonali (ipogonadismo, ipotiroidismo, insufficienze ormonali, ecc.)
  • Scarsa qualità dello sperma (oligospermia, astenospermia, teratospermia, ecc.)
  • Disturbi ovarici (anovulazione, sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), menopausa precoce, diminuzione della riserva ovarica, ecc.)
  • Fattori tubarici e/o uterini (endometriosi, malformazioni uterine, presenza di fibromi o aderenze, problemi alla cervice, ecc.)
  • Infezioni prolungate
  • Traumi o malformazioni a livello dell’apparato genitale maschile
  • Cause genetiche (Sindrome di Turner, sindrome di Klinefelter, ecc.)
  • Stili di vita (fumo, consumo di alcool e di droghe, sedentarietà, sovrappeso, obesità, cattiva alimentazione, ecc.)
  • Malattie sessualmente trasmissibili
  • Altro (età materna avanzata, infertilità immunologica, disturbi alimentari, stress prolungato…)

Non sempre, inoltre, gli accertamenti sono in grado di evidenziare una o più cause specifiche; in quel caso, si parla di infertilità idiopatica.

Esercizio fisico: definizione, benefici ed effetti negativi

Il concetto di attività fisica è molto ampio; comprende, infatti, tutte le forme di movimento realizzate nei vari ambiti di vita.

Secondo l’OMS, per attività fisica si intende “qualunque movimento determinato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello delle condizioni di riposo”.

In questa definizione rientrano non solo le attività sportive, ma anche semplici movimenti come camminare, andare in bicicletta, ballare, giocare, fare giardinaggio e lavori domestici, che fanno parte dell’attività motoria spontanea.
Con il termine di esercizio fisico si intende invece l’attività fisica in forma strutturata, pianificata ed eseguita regolarmente.

Esistono diverse tipologie di esercizio fisico; le due macrocategorie in cui esso viene suddiviso sono quelle dell’esercizio aerobico ed anaerobico.

Per esercizio aerobico (a volte definito anche cardio o di resistenza) si intende un tipo di attività che utilizza l’ossigeno per ottenere l’energia necessaria per il fabbisogno corporeo durante la performance. Il corpo rileva una diminuzione dei livelli di ossigeno e, di conseguenza, aumenta la sua frequenza cardiaca e respiratoria, per poter ristabilire un equilibrio e permettere la continuità dell’esercizio.

Durante l’attività aerobica, in un primo momento vi è un consumo di glucidi e, successivamente, vengono utilizzati i lipidi come riserva energetica. Per questo motivo, è l’attività che viene solitamente consigliata per perdere peso. Questo tipo di esercizio è importante per molte funzioni e aiuta a mantenere in salute il cuore, i polmoni e il sistema circolatorio, oltre a migliorare la funzione cardiorespiratoria. È dimostrato, inoltre, che una regolare attività aerobica riduce il rischio di sviluppare numerose malattie, come patologie cardiache, ictus, diabete di tipo 2, demenza e persino alcuni tumori.

L’esercizio anaerobico (a volte definito di potenza o di forza) utilizza invece meccanismi di reperimento energetico (dai glucidi) che non coinvolgono l’ossigeno presente nel sangue; pertanto, utilizzando substrati rapidamente disponibili, permetterà un processo veloce anche se con un rilascio energetico di minore durata rispetto ai meccanismi aerobici. Questo comporta un affaticamento precoce rispetto all’attività aerobica, oltre ad un aumentata concentrazione di acido lattico.

Esempi di esercizio anaerobico possono essere la corsa veloce, esercizi di sollevamento pesi o a corpo libero come affondi, squat, lanci, eccetera. Queste tipologie di esercizi aumentano e mantengono la massa muscolare, oltre ad avere, tra gli altri, degli effetti positivi sull’aumento della densità ossea e sul rallentamento della sua naturale degenerazione dovuta all’età.

Non dobbiamo, in ogni caso, considerare l’esercizio fisico come facente parte di una o dell’altra categoria; infatti, sarebbe più corretto parlare di esercizio “prevalentemente aerobico” o “prevalentemente anaerobico”.

Un’altra classificazione dell’esercizio fisico è quella che si basa sull’intensità dell’attività stessa, utilizzando come unità di misura i MET. L’equivalente metabolico dell’attività (MET) è un’unità che stima la quantità di energia utilizzata dall’organismo durante l’attività fisica, dove 1 MET corrisponde al riposo assoluto.

Di seguito le diverse categorie dell’intensità di esercizio fisico:

  • Attività sedentaria: < 1.6 MET; < 40% FCmax
  • Intensità leggera: 1.6 < 3 MET; 40-55% FCmax
  • Intensità moderata: 3 < 6 MET; 55-70% FCmax
  • Intensità vigorosa: 6 < 9 MET; 70-90% FCmax
  • Intensità alta: > 9 MET; >90% FCmax

Ritengo sia importante aver chiara la distinzione tra le varie tipologie di questa classificazione, poiché la risposta corporea può variare proprio in base all’intensità dell’attività.

Infatti, se un’attività moderata produce in maniera indiscutibile dei benefici, gli stessi possono ridursi o addirittura annullarsi se si passa ad un esercizio intenso e, magari, prolungato nel tempo.

Come già accennato in precedenza, possiamo riscontrare moltissimi benefici nella pratica costante dell’attività fisica, sia a livello fisico che psicologico.

Tra i principali, possiamo citare il mantenimento di un peso corporeo adeguato, l’abbassamento della pressione sanguigna, il miglioramento della funzionalità cardiovascolare, l’aumento della forza muscolare e della flessibilità, il mantenimento della densità ossea, ha un effetto positivo sulla risposta immunitaria. Aiuta, inoltre, a ridurre il rischio di diverse patologie, prime fra tutte quelle collegate all’apparato cardiovascolare, ma anche il diabete di tipo 2, cancro del colon e al seno.

L’attività fisica costante migliora anche la qualità del sonno, aiuta il benessere psicologico, diminuisce il rischio di depressione e di demenza; apporta inoltre dei benefici anche nel trattamento delle dipendenze, sia nell’allungamento dei tempi di astinenza, sia nella riduzione dei sintomi e degli stati ansioso/depressivi.

D’altra parte, un eccesso di attività fisica, soprattutto se ad alta intensità ed effettuata per un tempo prolungato e senza il tempo di recupero necessario, può portare chi la pratica al cosiddetto “overtraining” o “sindrome da sovra allenamento”; questo stato provoca disturbi a livello fisico e psicologico anche molto importanti, tra cui stanchezza cronica, dolori muscolari e articolari, riduzione della forza, alterazioni della frequenza cardiaca a riposo e della pressione sanguigna, aumento della frequenza respiratoria, squilibri ormonali che possono anche portare ad amenorrea e riduzione del testosterone, perdita eccessiva di peso, incapacità di eliminare le tossine accumulate nel corpo durante lo sforzo fisico.

L’overtraining può provocare anche ansia, dismorfismo, insonnia, bassa autostima e bassa motivazione generale, dipendenza da attività fisica.

Come risponde il corpo al movimento?

  • Il ruolo degli ormoni

Tenendo conto di tutte queste considerazioni ed incrociando tra loro le cause dell’infertilità con i benefici dell’esercizio fisico, possiamo intuire come gli ormoni giochino un ruolo fondamentale nella nostra ricerca. Influiscono, infatti, sull’apparato riproduttivo maschile e femminile, oltre che sulla gestione dello stress e su diversi aspetti psicologici (la famosa “sensazione di benessere” che si percepire al termine dell’attività fisica). La loro secrezione può aumentare o diminuire durante l’esercizio fisico, provocando quindi degli adattamenti a livello fisiologico che possono influenzare l’equilibrio corporeo, soprattutto se l’esercizio è costante e prolungato nel tempo. Gli ormoni, infatti, una volta secreti dalle ghiandole apposite, agiscono da neurotrasmettitori: grazie alla loro azione, vengono inviati dei segnali al corpo, provocando diversi effetti e regolando varie funzioni.

Ma cosa sono gli ormoni? Sono particolari sostanze chimiche prodotte dalle cellule endocrine situate nelle ghiandole come la tiroide, le ghiandole surrenali, il timo, il pancreas, le gonadi ed altre. Anche le cellule adipose, le cellule dello stomaco, dei reni e dell’intestino possono produrre ormoni; queste cellule, pur non appartenendo al sistema endocrino, ne influenzano il funzionamento.

Una volta prodotti (tramite un meccanismo di feedback, perciò quando il corpo lo richiede), gli ormoni vengono riversarti nel sangue (ormoni endocrini) o nei tessuti adiacenti (ormoni paracrini), per arrivare alla cellula bersaglio. Grazie ai messaggi trasmessi dagli ormoni, viene determinato il funzionamento dell’intero organismo.

È importante che questo complesso sistema sia sempre in equilibrio, così da non incorrere in patologie o problematiche.

Uno dei fattori che condizionano il sistema endocrino, rappresentando il cosiddetto “stressor” è proprio l’esercizio fisico; come detto sopra, questo evento stressante innesca una serie di risposte fisiologiche ed adattive per permettere il ritorno all’equilibrio dell’organismo, finalizzate a garantire il corretto svolgimento dell’esercizio stesso e, in un secondo momento, ad ottimizzare il recupero dopo l’attività.

Si possono distinguere due tipi di risposta ormonale all’esercizio fisico: quella in risposta all’esercizio acuto (circostanziato e di breve durata) e quella in risposta all’esercizio cronico (ripetuto e programmato).

Nel primo caso, le modificazioni ormonali sono transitorie e si verificano in prossimità dell’esercizio stesso, mentre nel caso dell’allenamento il corpo subisce un adattamento progressivo e costante, che comporta modificazioni ormonali di tipo stabile. La risposta ormonale ha principalmente l’obiettivo di garantire la disponibilità di substrati energetici e l’ottimizzazione dei processi metabolici, oltre ad intervenire per il mantenimento dell’equilibrio a seguito delle variazioni a livello dei diversi apparati (cardiovascolare, del sistema nervoso centrale, termoregolazione, eccetera). Tale risposta può essere influenzata da numerosissime variabili, sia correlate all’individuo (genetica, età, sesso, ritmi biologici, stato nutrizionale, grado di allenamento, assunzione di farmaci o integratori, patologie pregresse o in atto) che all’attività fisica (tipo, intensità e durata dell’esercizio, condizioni ambientali).

Quando l’attività motoria cronica svolta è eccessiva (overtraining), si assiste a una risposta ormonale anomala, eccessiva o insufficiente, con ripercussioni sulla salute e sulla performance dell’atleta.

Alla luce di tutte queste considerazioni, possiamo procedere con una carrellata su quali siano i principali ormoni in gioco durante l’esercizio fisico, quali siano i loro target e se ci siano o meno differenze di risposte in base alla tipologia di attività.

L’ormone della crescita (GH)

Questo ormone, prodotto dall’ipofisi, aumenta i suoi livelli durante l’esercizio fisico in maniera proporzionale al volume di allenamento, alla sua durata (è maggiore negli esercizi di resistenza) e in modo differente in base alle caratteristiche del soggetto (età, sesso, composizione corporea). Il GH ha la funzione di influenzare la sintesi proteica, perciò favorisce l’accrescimento osseo, il consumo delle riserve lipidiche salvaguardando il glicogeno, la crescita muscolare e il rinnovamento cellulare, coadiuvando la riparazione dei tessuti danneggiati.

Se durante un esercizio acuto i livelli di GH aumentano e rimangono elevati fino a 2 ore dopo la fine dell’attività, gli effetti dell’allenamento sulla secrezione di questo ormone sono controversi. In ogni caso, i valori di GH a riposo non sono differenti nel soggetto allenato rispetto a quello non allenato.

 

Catecolamine

Gli ormoni adrenalina e noradrenalina vengono prodotti sia dal sistema nervoso autonomo che dalla midollare del surrene e sono rilasciati in caso di sforzi fisici o psichici per permettere all’organismo di adattarsi all’attività svolta. In particolare, l’adrenalina viene rilasciata durante sforzi intensi e rapidi, permette di liberare immediatamente glucosio nel circolo sanguigno e quindi fornire energia immediata, mentre la noradrenalina viene rilasciata durante sport ad alta intensità e lunga durata.

Raggiungono rapidamente un picco di concentrazione piuttosto elevato, per ritornare alla normalità in breve tempo dopo la fine dell’attività.

Si può anche rilevare un aumento della loro secrezione prima dell’inizio dell’esercizio: tale risposta è definita “secrezione anticipatoria” ed è una reazione all’aumento dello stress psichico associato alla performance. In generale, le catecolamine consentono al corpo di sintetizzare glucosio, aumentare la frequenza del battito cardiaco e la pressione sanguigna, permettono all’organismo “di superare” i momenti di maggior difficoltà durante l’attività sportiva.

Nel soggetto allenato, è stata osservata una maggiore capacità secretoria di adrenalina sia durante l’esercizio fisico che a seguito di altri stimoli, mentre la secrezione di noradrenalina risulta ridotta, grazie sia alla miglior condizione di forma del soggetto (minore sforzo con lo stesso carico di lavoro), sia grazie ad una maggiore capacità di sopportare lo stress.

 

Il cortisolo

Il cortisolo è un ormone secreto dai surreni in risposta alla produzione di ACTH (ormone adrenocorticotropo) prodotto dall’ipofisi. Definito “ormone dello stress”, insieme ad adrenalina e noradrenalina, è il primo ormone prodotto a seguito di un evento stressante, perciò anche durante lo sforzo fisico. Ha la funzione di aumentare i livelli di glucosio nel sangue, così da fornire al corpo l’energia necessaria per affrontare l’attività ed ha anche il fine di regolare l’azione dell’insulina, permettendo di modulare l’assorbimento degli zuccheri a livello intracellulare. Questo meccanismo consente di consumare il glucosio lentamente e mantenere i livelli di glicemia il più costanti possibile, evitando così cali energetici con conseguente sensazione di affaticamento e debolezza muscolare.

La produzione di cortisolo diminuisce progressivamente all’aumentare del livello di allenamento, poiché l’organismo sviluppa capacità di adattamento allo sforzo muscolare, riuscendo a sfruttare il glucosio come energetico in maniera più efficiente e a subire un minor grado di stress.

Al contrario, nei casi di overtraining si può assistere ad un aumento dei valori basali di cortisolo. Infatti, se lo stressor (evento stressante) perdura nel tempo ed ha livelli troppo elevati, le cellule corporee possono sviluppare una vera a propria resistenza al cortisolo in circolo, innescando una risposta infiammatoria che di fatto porta ad un peggioramento della funzionalità del sistema immunitario, così come del metabolismo degli zuccheri e dei trigliceridi. Questo potrebbe avere conseguenze sull’intero organismo, fino ad arrivare a sintomi come cattivo umore, depressione, ma anche gonfiore, osteoporosi, stanchezza ed irregolarità mestruale.

 

Gli ormoni tiroidei (TSH, T3 e T4)

La principale funzione di questi ormoni è quella di aumentare i processi metabolici, ma gli studi sugli effetti dell’esercizio fisico su di essi sono piuttosto contrastanti; infatti, nell’esercizio acuto, sono stati rilevati sia un aumento che una diminuzione dei loro livelli in base alle caratteristiche dell’esercizio. Nemmeno l’attività fisica continua e protratta nel tempo sembra far riscontrare grandi variazioni sulla secrezione di T3 e T4; tuttavia, un allenamento eccessivamente intenso e prolungato può portare gli atleti alla cosiddetta “sindrome da bassa T3”, causata da un bilancio energetico negativo.

 

Gli ormoni gonadici

Gli ormoni gonadici sono quelli secreti, appunto, dalle gonadi e la cui produzione è controllata dall’ipotalamo e dall’ipofisi (asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, detta anche HPG).

Uno dei principali ormoni prodotti dalle gonadi è certamente il testosterone, ormone androgeno (ma presente naturalmente anche nella donna), la cui produzione aumenta durante l’attività fisica.

Il testosterone viene prodotto dai testicoli e dai surreni negli uomini, e da ovaie e surreni nelle donne; è il principale ormone anabolico, sostiene la crescita muscolare, contribuisce alla salute delle ossa, al metabolismo lipidico e alla manifestazione dei caratteri sessuali.

Nonostante i livelli di testosterone aumentino con l’allenamento, questo non è così significativo da indurre un adattamento immediato; inoltre, in caso di aumento elevato dei livelli di testosterone, il corpo risponde con un processo chiamato aromatasi, che prevede la trasformazione di ormoni maschili in femminili.

In caso di allenamenti molto intensi, le variazioni di alcuni ormoni da parte dell’asse HPG, possono avere effetti pesanti anche sulla produzione degli ormoni sessuali, tanto da arrivare ad una riduzione o addirittura ad una soppressione dell’attività delle gonadi (ipogonadismo dell’atleta). Come già detto nel paragrafo relativo al cortisolo, uno stress prolungato può portare ad irregolarità del ciclo mestruale, amenorrea, osteoporosi ed altri disturbi; nella donna sottoposta a livelli intensi e prolungati di stress fisico, si può riscontrare la cosiddetta “triade dell’atleta”, caratterizzata proprio da amenorrea, disturbi del comportamento alimentare ed osteoporosi.

 

Insulina e glucagone

Questi due ormoni sono prodotti dal pancreas e hanno effetti opposti. L’insulina ha il compito di far diminuire il livello di glucosio nel sangue trasportandolo alle cellule dove è utilizzato come fonte di energia, o al fegato che lo trattiene sotto forma di glicogeno e se in eccesso lo trasforma in trigliceridi (grassi). Il glucagone incrementa il livello di glucosio circolante attraverso la gluconeogenesi, prima scindendo il glicogeno depositato nel fegato in glucosio e poi sintetizzando nuovo glucosio a partire dagli aminoacidi delle proteine muscolari.

Durante l’attività fisica il glucagone aumenta e l’insulina diminuisce: questo avviene perché durante uno sforzo intenso la captazione del glucosio nelle cellule risulta aumentata e quindi basta una piccola quantità di insulina per permettere un suo maggior utilizzo muscolare (aumento della cosiddetta “sensibilità insulinica”). Anche per questo motivo, l’attività sportiva è uno degli strumenti utilizzati per tenere sotto controllo la glicemia, anche nei soggetti diabetici.

 

Gli “ormoni del benessere”

Dopamina, serotonina ed endorfine sono ormoni prodotti dal sistema nervoso centrale e, in piccola parte, dalle ghiandole surrenali durante o dopo uno sforzo fisico. I livelli di questi ormoni, in particolare delle endorfine, possono aumentare fino al 500% rispetto agli individui sedentari.

Sono detti anche “ormoni del benessere”, poiché aumentano il livello di concentrazione, procurano un senso di benessere generalizzato, innalzano la soglia del dolore, diminuiscono il senso di fatica e riducono lo stress che insorge durante e dopo l’esercizio fisico. La serotonina, che aumenta dopo l’attività fisica, con la diminuzione della dopamina, permette inoltre di regolare il ciclo sonno-veglia.

È grazie all’effetto ansiolitico ed analgesico di questi ormoni (che si protrae fino a 4-6 ore dopo la fine dell’attività), che l’esercizio fisico è consigliato a persone in situazioni di dolore cronico, ansia e depressione.

 

  • Azione anti-infiammatoria e gli effetti dell’esercizio fisico sul sistema immunitario

 

Come detto in precedenza parlando degli ormoni, possiamo considerare l’esercizio fisico come uno “stressor”, cioè come una causa di stress a cui l’organismo risponde per ripristinare l’omeostasi, ovvero una situazione di equilibrio generale. Una delle risposte biologiche del corpo a questo disequilibrio è proprio la risposta infiammatoria, atta a combattere lo stato di infiammazione acuta e transitoria generata dall’attività fisica e che può portare, a lungo termine, ad un potenziamento del sistema immunitario.

Uno dei dati rilevati in alcuni studi sugli effetti dell’esercizio fisico sul sistema immunitario è sicuramente quello dell’aumento dei globuli bianchi circolanti, rilevato durante l’attività fisica. Il movimento, infatti, aumenta il numero e l’efficacia dei globuli bianchi, le cellule del sangue coinvolte nella risposta immunitaria, che contribuiscono a combattere virus, batteri e altri microrganismi nocivi. In particolare, stimola la produzione dei linfociti T, un sottogruppo dei globuli bianchi che ha funzioni di controllo e di difesa.

Queste variazioni rientrano nei valori normali al termine dell’esercizio, ma le difese immunitarie ne risultano comunque “rinforzate”; questo permette di considerare l’attività fisica come un anti infiammatorio naturale. Non solo: grazie a questa azione di contrasto dello stato infiammatorio, l’esercizio fisico costante e prolungato nel tempo, potrebbe proteggere dallo sviluppo delle malattie che hanno una componente infiammatoria, come le patologie croniche più comuni, quali diabete, malattie cardiovascolari, demenza e anche tumori.

Sebbene, come appena detto, l’attività fisica moderata possa aumentare le potenzialità del sistema immunitario rispetto ad una condizione di sedentarietà, sembra che questo effetto benefico diminuisca drasticamente in situazioni di esercizio intenso e che si possa arrivare addirittura ad una temporanea soppressione delle difese immunitarie. Infatti, tanto più la produzione e la reattività dei globuli bianchi aumentano durante l’esercizio fisico, così diminuiscono sensibilmente al termine dello sforzo.

Dopo un’attività fisica prolungata e di elevata intensità si assiste, infatti, a un calo generalizzato dell’attività del sistema immunitario, questo fenomeno della durata variabile tra le 3 e le 72 ore è definito come “Open Window”. Durante questo periodo lo sportivo viene a trovarsi in uno stato di immunodepressione transitoria e quindi a elevato rischio di contrarre un’infezione, in particolare delle vie aeree superiori.

L’attività fisica intensa o una condizione di overtraining, inoltre, tendono a diminuire la funzionalità dei linfociti T (al contrario dell’attività moderata) e quindi a rendere il soggetto maggiormente suscettibile alle infezioni.

È quindi fondamentale che gli atleti seguano un adeguato recupero, oltre a sottostare ad un’alimentazione equilibrata e ricca di complessi vitaminici, per riportare il fisico ad uno stato di salute.

Correlata all’azione dei globuli bianchi, è fondamentale rilevare quella delle citochine, molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule (tra cui proprio i monociti e i linfociti T) e secrete nei tessuti circostanti in presenza di un antigene.

Anche il muscolo scheletrico, durante il meccanismo di contrazione e rilascio, sembra essere in grado di produrre citochine (dette anche “miochine”, proprio per la loro sede di produzione), in particolare l’interleuchina 6 (IL-6), una citochina che ha azione anti infiammatoria quando è secreta dal muscolo scheletrico. Essa è molto importante, poiché stimola la produzione di altre citochine anti infiammatorie ed inibisce quella del TNF-a (un’interleuchina pro infiammatoria), influenzando il metabolismo e lo status infiammatorio nei tessuti e nell’intero organismo. Il massimo livello di IL-6 circolante (fino a 100 volte rispetto al valore normale) si rileva al termine dell’esercizio fisico, portando ad elevati livelli di fattori inibitori anti infiammatori e citochinici. Il rilascio di questi mediatori nel sangue può rappresentare un meccanismo per il controllo dell’infiammazione.

Uno studio effettuato su un campione di donne sedentarie sane (più suscettibili degli uomini alle malattie infiammatorie croniche) ha rilevato proprio queste variazioni della risposta infiammatoria.

Infatti, questo studio aveva proprio lo scopo di accertare l’effetto di singole sessioni di esercizio sulla risposta infiammatoria delle donne sedentarie, valutando la funzione dei neutrofili e le concentrazioni circolanti di citochine infiammatorie.

Ai soggetti è stato prelevato un campione di sangue prima e dopo l’esercizio, che consisteva in una sessione di ciclismo su un cicloergometro ad intensità moderata (circa 70% del VO2 max) della durata di un’ora.

Lo studio ha confermato l’aumentata capacità fagocitaria e microbicida dei neutrofili, ha riscontrato un aumento di alcune citochine e la diminuzione di alcune pro infiammatorie. In poche parole, questo studio ha confermato come anche solo una singola sessione di esercizio moderato possa aumentare la risposta immunitaria (aumento della capacità dei neutrofili), senza generare risposte infiammatorie sistemiche dannose, dal momento che non ci sono stato cambiamenti nella concentrazione delle principali citochine pro-infiammatorie, anzi rilevando una diminuzione della chemochina-5 anch’essa pro infiammatoria.

Nei casi di overtraining o di esercizio fisico molto intenso e prolungato nel tempo, invece, il corpo si ritrova a fronteggiare uno stato di infiammazione subclinica cronica; di conseguenza, attiverà le citochine pro infiammatorie, con conseguenze negative sull’intero organismo (diminuzione dei livelli di glicogeno intramuscolare, cambiamenti emotivi e comportamentali, squilibri dell’equilibrio cortisolo/testosterone con conseguenze sull’apparato muscolo-scheletrico, eccetera).

 

  • Stress ossidativo ed azione antiossidante dell’esercizio fisico

Si parla di stress ossidativo quando vi è un accumulo di radicali liberi nell’organismo; tali sostanze vengono prodotte in maniera fisiologica nelle reazioni biochimiche cellulari, soprattutto in quelle che utilizzano ossigeno per produrre energia. I radicali liberi possono avere effetti positivi, ad esempio agendo contro gli antigeni durante la risposta infiammatoria, fungendo da messaggeri cellulari, svolgendo ruoli nell’attivazione enzimatica, ma anche nella disintossicazione dai farmaci ed aumentando la forza durante la contrazione muscolare. Tuttavia, un accumulo di radicali liberi nell’organismo ha anche diversi effetti negativi, tanto da indurre l’apoptosi cellulare, provocare infiammazioni o alterazioni delle funzioni cellulari, aumentando le probabilità di riscontrare patologie degenerative come invecchiamento cellulare, morbo di Parkinson, Alzheimer e alcune forme tumorali.

Per contrastare l’accumulo dei radicali liberi e, quindi, limitare i loro effetti negativi, l’organismo interviene con il cosiddetto “sistema antiossidante”, di cui fanno parte antiossidanti enzimatici e non enzimatici (ad esempio, alcune vitamine). Quando il sistema antiossidante non è in grado di contrastare l’aumento dei radicali liberi circolanti, si parla di stress ossidativo.

Anche l’esercizio fisico intenso, soprattutto se non associato ad un’integrazione di antiossidanti, può portare ad una situazione di stress ossidativo, spesso associata ad affaticamento muscolare e alla già citata “sindrome da sovra allenamento” (overtraining syndrome).

Alcuni studi hanno rilevato come l’attività fisica aumenti la produzione di radicali liberi, ma, allo stesso tempo, attivi maggiormente il sistema antiossidante per riportare l’organismo ad una condizione omeostatica. Non c’è grande variazione in questi meccanismi per quanto riguarda la tipologia di esercizio, mentre cambia al variare dell’intensità dello stesso: infatti, a parità di livello di allenamento del soggetto e di apporto di micronutrienti, si è visto che all’aumentare dell’intensità e della durata dell’esercizio vi era una crescita della concentrazione di radicali liberi e, quindi, dello stress ossidativo. Questo, come già accennato, portava gli atleti ad una maggiore stanchezza ed affaticamento muscolare, aumentava il rischio di infortuni e di incorrere nella sindrome da sovra allenamento.

D’altra parte, però, è stato ampiamente documentato che l’allenamento aerobico, anaerobico o misto portano ad un aumento dell’efficienza del sistema antiossidante in risposta alla produzione supplementare di radicali liberi durante l’esercizio, diminuendo lo stress ossidativo. Tuttavia, il programma di allenamento deve essere associato ad una dieta corretta e deve essere sufficientemente lungo e intenso da innescare una conseguente risposta adattativa.

Grazie alla riscontrata sovraregolazione di alcuni potenti enzimi antiossidanti indotta proprio dall’esercizio fisico e l’adattamento a lungo termine del sistema all’aumento della concentrazione di radicali liberi, possiamo determinare che l’attività fisica agisce come un potenziale antiossidante.

 

 

 

Effetti dell’esercizio fisico sul sistema riproduttivo maschile e femminile

  • Ciclo mestruale ed esercizio fisico: interazione reciproca

Alla luce di tutte le considerazioni fatte fino ad ora, possiamo iniziare a capire come l’esercizio fisico sia considerata una fonte di “stress” per l’organismo; tale “stress” può essere considerato positivamente se ha una durata limitata nel tempo e se viene seguita da un adeguato recupero, mentre può avere conseguenze negative nel breve e lungo periodo se non sussistono queste condizioni.

Abbiamo visto che le risposte all’esercizio fisico sono diverse e coinvolgono l’intero organismo, attraverso le modificazioni ormonali, la secrezione o l’inibizione della produzione di molecole, l’utilizzo di substrati energetici diversi rispetto al metabolismo basale, eccetera.

Ma quello che più interessa alla nostra ricerca che, ricordiamolo, ha come fine ultimo l’individuare un’eventuale correlazione tra l’esercizio fisico (e quindi le suddette modificazioni) e la fertilità, sono sicuramente gli effetti dell’attività fisica sul sistema riproduttivo.

Non possiamo iniziare questo approfondimento senza accennare al ciclo mestruale, a quali siano gli ormoni coinvolti e se ci siano o meno variazioni di tale sistema in relazione all’esercizio fisico.

Il ciclo mestruale è scandito da quattro fasi principali, i cui protagonisti sono certamente gli ormoni secreti dall’asse ipotalamo-ipofisi-gonadica (in questo caso la gonade coinvolta è l’ovaio); infatti, ipotalamo ed ipofisi stimolano la produzione di LH ed FSH che, a loro volta, favoriscono l’ovulazione e stimolano l’ovaio a produrre gli ormoni sessuali estrogeno e progesterone. Questi ultimi, a loro volta, preparano l’utero ad un’eventuale fecondazione.

Nello specifico, l’ormone follicolo stimolante (FSH) nella donna induce la maturazione dei follicoli ovarici; durante il suo sviluppo, il follicolo produce estrogeni. Nell’uomo, invece, l’FSH favorisce la spermatogenesi.

L’ormone luteinizzante (LH), invece, stimola la produzione di testosterone, che nella donna viene poi convertito in estrogeni; stimola inoltre l’ovulazione, mentre il corpo luteo residuo produrrò progesterone, importante per garantire l’eventuale impianto della cellula uovo fecondata e supportare la gravidanza.

Le fasi del ciclo mestruale sono caratterizzate da oscillazioni nella concentrazione di questi ormoni e sono, nello specifico, la fase mestruale, quella follicolare, la fase ovulatoria e la fase luteinica.

Durante la fase mestruale (2-7 giorni) avremo un aumento di FSH, progesterone ed estrogeni calano; in coda a questa fase troviamo quella follicolare, detta anche estrogenica, in cui l’endometrio si ricompone e che vede un continuo aumento di FSH e, di conseguenza, un aumento della secrezione degli estrogeni.

La fase successiva è quella dell’ovulazione vera e propria, dove i livelli ormonali sono al loro picco massimo; al termine dell’ovulazione si ha la fase luteinica (o progestinica): nei primi giorni i livelli degli ormoni sessuali continuano ad alzarsi, mentre si abbassano quelli delle gonadotropine. In mancanza di concepimento, il corpo luteo si disgregherà, di conseguenza progesterone ed estrogeni diminuiranno e si andrà incontro alla mestruazione.

Alcuni studi hanno dimostrano una correlazione reciproca tra esercizio fisico ed ormoni steroidei; gli estrogeni e il progesterone, infatti, hanno molteplici funzioni che possono influenzare la capacità di esercizio e la performance attraverso diversi meccanismi, come il metabolismo dei substrati energetici (alcuni studi hanno dimostrato come l’aumento degli estrogeni aumenti l’ossidazione dei lipidi invece che dei carboidrati), la funzionalità cardiorespiratoria, la termoregolazione, l’omeostasi dei liquidi, nonché numerosi benefici a livello psicologico.

Nonostante tutte queste interazioni, comunque, le alterazioni ormonali fisiologiche del ciclo mestruale non sembrano avere un’influenza rilevante sulla performance sportiva. D’altra parte, però, è fuori da ogni dubbio che l’attività fisica possa assistere il ciclo ormonale in termini di equilibrio, aiutare a migliorare la congestione tipica di alcune fasi del ciclo, aiutare a gestire il dolore e dare supporto anche emotivo nella cosiddetta “fase premestruale”: alcuni studi hanno proprio approfondito il ruolo dell’esercizio fisico sulla fase premestruale, dimostrando come esso possa migliorare la sintomatologia non solo di questa fase, ma dell’intero ciclo, sia per quanto riguarda gli aspetti fisici (gonfiore, dolori addominali, ritenzione idrica, disordini della pelle), ma anche psicologici (oscillazioni dell’umore, irritabilità, depressione). Per alcune donne è necessario anche modulare l’intensità dell’attività in base al ciclo, preferendo attività blande nei giorni di maggior gonfiore o di dolore e sfruttando l’energia tipica dei picchi ormonali (fase follicolare ed ovulazione) per attività ad alta intensità.

 

  • Effetti collaterali: ipogonadismo e triade femminile dell’atleta

Non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino che un esercizio fisico moderato possa avere effetti negativi sul sistema riproduttivo femminile, ma piuttosto è ormai largamente diffusa l’idea che questa pratica porti benefici all’intero organismo.

Infatti, gli studi in corso negli ultimi anni pongono la loro attenzione sugli effetti dell’esercizio fisico intenso, poiché sembra avere effetti negativi proprio sul sistema riproduttivo, aumentando quindi il rischio di infertilità negli atleti di ambo i sessi.

È già stato precedentemente accennato come l’esercizio fisico ad alta intensità porti ad una diminuzione della concentrazione di LH, a causa dell’inibizione del GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine), tanto da far riscontrare in chi pratica attività sportiva molto intensa una condizione di “ipogonadismo”, soprattutto in ambiti dove il peso corporeo deve essere tenuto sotto stretto controllo; questo avviene, probabilmente, a causa di un’insufficienza dei substrati energetici e provoca appunto alterazioni nella steroidogenesi, nel ciclo riproduttivo e nel comportamento sessuale, arrivando, nelle donne, ad amenorrea e anoressia nervosa.

La diminuzione della secrezione di GnRH diminuisce a sua volta quella di LH ed FSH da parte dell’ipofisi, che interrompe la stimolazione ovarica, cessando la produzione degli estrogeni. Questo comporta una fase follicolare prolungata, che blocca l’ovulazione e quindi un’interruzione del ciclo mestruale.

Amenorrea, disturbi alimentari ed osteoporosi caratterizzano proprio quella che viene definita “triade femminile dell’atleta”, così nominata dall’American College of Sports Medicine. Le atlete affette da questa sindrome hanno, ovviamente, un alto rischio di incorrere in patologie del sistema riproduttivo come appunto la riduzione o la totale assenza di ciclo mestruale. Non assistiamo solo ad una diminuzione del livello delle gonadotropine, ma anche un aumento di prolattina (anche questo inibisce il ciclo mestruale), di GH, cortisolo, di altri ormoni e sostanze, tra cui le interleuchine pro infiammatorie che hanno un ruolo importante anche sull’omeostasi scheletrica. Questo porta a conseguenze a breve termine, come appunto l’infertilità, ma anche a lungo termine, come l’osteoporosi o l’osteopenia, con un conseguente aumento del rischio di fratture o infortuni.

Una volta diagnosticata, il primo intervento sarà quello di aumentare l’introito calorico, con l’apporto corretto di tutti i nutrienti, così da iniziare a ristabilire l’equilibrio del metabolismo nella sua totalità. Per diminuire il definit energetico potrebbe essere necessaria una diminuzione dell’intensità dell’esercizio fisico o un’interruzione dello stesso.

 

  • Effetti dell’esercizio fisico sulla qualità dello sperma

Tra le cause di infertilità della coppia, troviamo certamente anche una scarsa qualità dello sperma. Infatti, sembra che una coppia su tre non riesca a concepire proprio per questo motivo, trovando difficoltà sia in un percorso naturale che nella fecondazione in vitro.

Alcune cause che portano a questa condizione possono essere l’età avanzata, uno di stile di vita poco sano (consumo di alcool, fumo, droghe), il sovrappeso e l’obesità, lo stress psicologico (con conseguente aumento di cortisolo e diminuzione del testosterone), ma anche lo stress ossidativo. Nello specifico, alti livelli di stress ossidativo provocano danni al DNA spermatico e potrebbero quindi portare ad infertilità, aborti ricorrenti, oltre a malformazioni congenite, malattie neuropsichiatriche ed altre patologie nella prole. A causa dei livelli limitati di antiossidanti e di un meccanismo limitato di rilevamento e riparazione di un eventuale danno al DNA, gli spermatozoi sono altamente vulnerabili allo stress ossidativo.

Un consiglio che viene dato agli uomini con questo tipo di problematica, oltre ad una corretta nutrizione ed ovviamente un corretto stile di vita, è sicuramente quello di praticare esercizio fisico regolare.

Il legame tra esercizio fisico e qualità dello sperma non è definitivamente dimostrato, ma alcuni studi hanno rilevato come un’attività fisica moderata e regolare (dalle tre alle cinque volte a settimana), già dopo pochi mesi possa portare benefici, sia in termini di conta degli spermatozoi, che in termini di motilità, di integrità del DNA spermatico ed altri parametri.

I soggetti di questi studi sono stati sottoposti a diverse tipologie ed intensità di allenamento (intensità moderata, alta intensità e ad intervalli ad alta intensità) per 24 settimane; sono stati prelevati campioni di sperma prima, durante e dopo questo periodo per valutare, appunto, il volume dello sperma, il conteggio degli spermatozoi, la morfologia, la motilità, i livelli di marcatori infiammatori e la loro risposta allo stress ossidativo.

I ricercatori hanno potuto valutare che gli uomini che si trovavano nei gruppi attivi avevano migliorato la qualità dello sperma in tutti i suoi parametri rispetto ai campioni del gruppo di controllo; nello specifico, il gruppo sottoposto ad attività continua e moderata ha mostrato i maggiori miglioramenti nella qualità dello sperma e ha mantenuto questi benefici più a lungo.

Secondo gli studiosi, una delle cause di questo miglioramento è stata la perdita di peso dei soggetti in conseguenza all’esercizio fisico costante, oltre ad una probabile minore esposizione delle gonadi allo stress ossidativo e agli agenti infiammatori.

Tuttavia, i benefici sulla conta, la forma e la concentrazione degli spermatozoi hanno iniziato a diminuire verso i livelli pre-allenamento dopo una settimana di interruzione del programma di esercizi e la motilità degli spermatozoi 30 giorni dopo l’interruzione.

Sebbene questi studi dimostrino che l’attività fisica moderata può avere degli effetti positivi sulla concentrazione spermatica e su altri parametri relativi al liquido seminale, non ci sono molte ricerche che possano provare se i cambiamenti indotti dall’allenamento influenzino il potenziale fecondante.

Inoltre, è stato provato che l’esercizio fisico intenso, in particolar modo la corsa su lunghe distanze e il ciclismo, può al contrario avere effetti negativi sullo sperma e quindi aumentare il rischio di infertilità in questa tipologia di atleti.

 

Effetti dell’esercizio fisico sulla fertilità: cosa dice la letteratura

Abbiamo visto in precedenza come l’infertilità sia una condizione che coinvolge le coppie in percentuale sempre maggiore, con una cascata di conseguenze quali depressione, bassa autostima, dolore, problemi coniugali, insoddisfazione sessuale e, a volte, persino disagio sociale.

Non si conosce la causa esatta di questo aumento, sebbene alcuni studi abbiano suggerito che il parto tardivo, gli aborti illegali e legali, la variazione genetica e l’uso eccessivo di contraccettivi possano essere tutti fattori che, con il passare degli anni, hanno influenzato questa tendenza.

Oltre ai trattamenti farmacologici, negli ultimi anni si è visto come si possano trarre benefici in questo campo anche da metodi meno invasivi e con minori effetti collaterali; oltre alla psicoterapia, uno dei metodi per cercare di diminuire i fattori di rischio dell’infertilità è proprio quello dell’attività fisica.

Abbiamo già visto come l’esercizio fisico possa attivare nell’organismo diversi processi di adattamento, così da portare un miglioramento e un benessere globale della persona sia da un punto di vista fisico che psicologico. L’attività fisica sembra ridurre l’infertilità attraverso il rafforzamento delle difese antiossidanti, riducendo l’infiammazione ed aumentando le difese immunitarie, modulando la secrezione ormonale, la resistenza all’insulina.

Inoltre, un gran numero di studi negli ultimi anni ha rilevato che l’attività fisica può aiutare a migliorare le prestazioni riproduttive nelle donne affette da PCOS, a ridurre il rischio di endometriosi o semplicemente portare beneficio nella gestione del dolore causato da quest’ultima patologia, aiutando a livello anche psicologico chi ne è affetta.

Migliorando l’indice di massa corporea, inoltre, l’esercizio fisico può diminuire la difficoltà di concepimento nelle donne obese: tale cambiamento nello stile di vita non riscontra effetti positivi solo sulla fertilità della donna, ma anche sulla salute generale della sua prole.

Proprio in relazione a questo, sono stati raccolti i dati di diversi studi effettuati tra il 2010 e il 2018, che andavano ad analizzare proprio gli effetti dell’esercizio fisico su giovani donne, da solo o in associazione a terapia farmacologica e/o a dieta e cambiamenti dello stile di vita. Nel totale delle donne che si sono sottoposte a questi 18 studi, vi erano soggetti con un BMI tra i 18 e i 45 (perciò alcune normopeso, altre in condizione di sovrappeso e di obesità), di cui un certo numero con PCOS.

Tutti questi lavori hanno riscontrato come le donne che praticavano attività fisica abbinata ad altri trattamenti (dieta e/o farmaci) avevano una maggiore probabilità di concepimento e di portare a termine la gravidanza rispetto a quelle che non praticavano esercizio fisico.

Il confronto tra gruppi che praticavano attività fisica non combinata ad altri trattamenti e quelli sottoposti soltanto a trattamenti per la fertilità (ad esempio clomifene citrato, gonadotropine, eccetera), invece, non hanno rilevato differenze nei risultati; questo è comunque un dato positivo, poiché fa dedurre che un’attività fisica strutturata possa dare risultati almeno simili a quelli di un trattamento più invasivo o comunque più dispendioso e con maggiori effetti collaterali. I trattamenti di fertilità più comuni, ad eccezione della fecondazione in vitro, prevedono l’uso di induttori dell’ovulazione che stimolano la secrezione di gonadotropine, o direttamente un’integrazione di FSH ed LH. La ricerca sulle donne con PCOS ha dimostrato che l’esercizio agisce in modo simile ed ha quindi il potenziale per ripristinare il ciclo del GnRh, portando all’ovulazione spontanea. Nelle donne con PCOS o in condizione di sovrappeso o obesità, l’attività fisica interviene reimpostando l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi e riportando valori ormonali utili alla ripresa ovulatoria.

Negli studi effettuati su donne con difficoltà di concepimento causate da squilibri ormonali e, quindi, difficoltà nell’ovulazione, si è potuto constatare come ci sia stato un miglioramento nella conta ormonale e quindi maggiori possibilità di concepimento.

Allo stesso modo, alcune donne con elevati valori di FSH circolanti causati da una iposensibilità ovarica alle gonadotropine hanno tratto beneficio da una pratica costante di attività fisica, riportando nei range medi i valori di ormoni nel sangue e diminuendo quindi il fattore di rischio.

Nel paragrafo precedente abbiamo già parlato di come l’esercizio fisico possa ridurre il rischio di infertilità maschile, andando a migliorare i parametri della qualità dello sperma, grazie all’inibizione di alcuni processi infiammatori, dello stress ossidativo e degli antiossidanti.

Quasi la totalità degli studi che ha portato a questi risultati ha dimostrato che un’attività fisica di intensità moderata o alta porta a risultati migliori rispetto ad una a bassa intensità; allo stesso modo è confermato anche qui che praticare attività fisica ad alta intensità e per un lungo periodo può dare risultati meno efficaci o addirittura controproducenti. Sarà compito degli studi futuri concentrarsi proprio sulla determinazione dei parametri ottimali, sia in termini di intensità, di durata e di modalità di esercizio, per ridurre efficacemente il rischio di infertilità.

 

Sulla scia degli studi accennati in questo paragrafo, nel più recente periodo si è cercato anche di approfondire l’eventuale relazione tra esercizio fisico e percentuale di successo nella fecondazione in vitro (FIV) con stimolazione ovarica controllata.

Circa 100 donne che iniziavano un percorso di FIV per diverse motivazioni (PCOS, endometriosi, infertilità idiopatica, infertilità del partner) hanno accettato di sottoporsi a questo studio, misurando tramite una strumentazione il più possibile oggettiva il loro livello di attività fisica e di sedentarietà prima della fecondazione in vitro (questo valore veniva poi considerato come riferimento di base), dopo il trasferimento dell’embrione (tempo di impianto) e dopo il test di gravidanza positivo (stabilimento iniziale della gravidanza). Oltre a ricercare una correlazione tra attività fisica ed esito della FIV, questo studio cercava anche di capire quale tipologia e quale intensità (MET) consigliare alle donne durante il periodo critico del percorso, o se addirittura fosse necessario l’assoluto riposo.

Lo studio ha rilevato che le donne che praticavano già di base attività fisica da leggera a moderata, con un basso livello di sedentarietà, riuscivano ad avere un numero maggiore di ovociti durante la stimolazione ovarica controllata rispetto a chi aveva un alto livello di sedentarietà, oltre ad un numero maggiore di embrioni; inoltre, si è riscontrato che trascorrere un alto numero di ore davanti alla TV nei giorni non lavorativi influenzava negativamente il numero di ovociti ed embrioni ottenuti.

Se un livello maggiore di attività leggera basale era associato ad un numero più elevato di ovociti ed embrioni ottenuti con FIV, non sono state riscontrate differenze negli esiti dell’impianto, della gravidanza e del parto con uno stile di vita attivo o sedentario durante il tempo di impianto: questo ha portato gli studiosi alla conclusione che non sia necessario diminuire il proprio livello di attività fisica durante il trattamento, sebbene si continui a consigliare di non praticarla ad intensità molto elevata.

Anche questo studio ha ricordato che ci sono diversi processi con cui un’attività fisica a livelli adeguati può influenzare la fecondabilità. Questi possono essere: l’influenza sulla funzione ovarica (alterando la produzione di estrogeni e altri ormoni steroidei attraverso l’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio), la capacità di regolare il bilancio energetico ed influenzare il BMI, la gestione dell’infiammazione, l’aumento degli enzimi antiossidanti, l’aumento della sensibilità all’insulina, migliorare gli aspetti psicologici come ansia e stress. D’altra parte, abbiamo già ampiamente accennato ai rischi di un esercizio fisico attuato a livelli estremi, che possa portare proprio a situazione di infertilità: per quanto riguarda lo specifico di questo studio, donne che praticavano attività fisica ad intensità molto elevata riscontravano una diminuzione del numero di embrioni impiantati e di una gravidanza con esito positivo.

 

Effetti dell’attività fisica su alcune cause dell’infertilità

All’inizio di questo lavoro ho scelto di elencare alcune possibili cause di infertilità; è evidente che alcune di esse siano immodificabili (ad esempio, malformazioni o traumi a livello dell’apparato genitale, malattie genetiche…), mentre su altre si può intervenire per migliorare le probabilità di concepimento o, addirittura, per eliminare definitivamente la causa stessa (ad esempio, modificare lo stile di vita eliminando fumo, alcool, eccetera).

Tra queste, ho scelto di approfondire l’eventuale ruolo dell’esercizio fisico sull’infertilità causata da PCOS, obesità e stress.

 

  • Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)

La PCOS è una patologia multifattoriale molto diffusa, tanto da colpire circa il 10% della popolazione femminile in età fertile. È una sindrome molto complessa e che tocca molti aspetti della vita della donna; infatti, non è una condizione puramente ginecologica, ma che coinvolge anche il sistema endocrino e metabolico, provocando disagi sia dal punto di vista della salute che psicologico.

La PCOS è spesso associata a problemi riproduttivi come infertilità, complicanze gravidiche, maggiori probabilità di aborto spontaneo, oligomenorrea o amenorrea, oltre a malattie metaboliche come il diabete di 2, l’aumento di grasso viscerale, alti valori di trigliceridi e colesterolo; nelle problematiche causate da questa sindrome troviamo anche disfunzioni del sistema endocrino e cardiovascolare. La donna affetta da PCOS, infatti, spesso presenta iperandrogenismo (accumulo di ormoni maschili e derivati, spesso associato a caratterizzazione maschile anche esterna), anovulazione associata a ciclo irregolare o assente, ovaio policistico. Quest’ultimo è causato da uno squilibrio dell’ormai ben noto asse ipotalamo-ipofisi-ovaio, che porta ad un’iperproduzione di estrogeni: tra i prodotti del metabolismo degli estrogeni vi sono gli androgeni che, accumulandosi, agiranno negativamente sull’ovaio. Molto spesso, inoltre, è presente una condizione di iperinsulinemia e insulinoresistenza: l’aumento dei valori insulinici porta ad una maggiore sintesi ovarica degli androgeni e, di conseguenza, un valore più elevato di androgeni circolanti.

Quando abbiamo approfondito i vantaggi dell’esercizio fisico sull’intero sistema corporeo, abbiamo visto come esso possa migliorare l’assetto ormonale, aiuti il mantenimento di un adeguato peso corporeo, migliori la sensibilità insulinica, riduca i livelli di ormoni dello stress come il cortisolo, aumenti l’efficienza cardiovascolare, abbia un effetto anti infiammatorio, oltre a molti vantaggi in termini di gestione dello stress, dei dolori causati dal ciclo mestruale, diminuzione del rischio di depressione, miglioramento dell’immagine di sé. Tutto questo non può che influire positivamente su quelli che invece sono i disequilibri ormonali e metabolici causati dalla PCOS: l’esercizio fisico, assieme alla dieta, dovrebbe essere il primo dei trattamenti presi in considerazione per chi è affetto da PCOS, in quanto economico, privo di effetti collaterali e con benefici sia fisici che psicologici.

Alcuni studi effettuati proprio su donne affette da questa sindrome, infatti, hanno sottolineato come l’esercizio fisico avesse un effetto più duraturo sulla riduzione della resistenza all’insulina e un maggiore benefici sul ripristino dell’ovulazione rispetto alla sola dieta. Aumentando la sensibilità insulinica, vengono ripristinati livelli normali di steroidogenesi e di androgeni circolanti, con conseguente attivazione del GnRH, che porta all’ovulazione.

La regolazione dei livelli di insulina è anche una delle principali cause della perdita di peso nelle donne affette da PCOS, o comunque, della riduzione dell’adiposità centrale (grasso viscerale a livello del tronco) anche nei soggetti normopeso.

Nelle donne sovrappeso od obese affette da PCOS, una diminuzione di peso anche modesta (5-14%) migliora la composizione corporea, il profilo ormonale e la funzione riproduttiva; tali miglioramenti includono, oltre alla suddetta riduzione di grasso viscerale, anche un abbassamento della glicemia, dei lipidi nel sangue, miglioramento del ciclo mestruale, dell’ovulazione e della fertilità, riduzione dei livelli di testosterone e degli androgeni liberi, oltre a miglioramenti dal punto di vista psicologico. Gli studi hanno dimostrato che, se alla dieta viene associato l’esercizio fisico (possibilmente aerobico), si possono avere effetti migliori sul mantenimento del peso corporeo a lungo termine rispetto alla sola dieta.

Sono stati inoltre effettuati degli studi specifici sugli effetti dell’allenamento sugli esiti riproduttivi delle donne affette da PCOS. In generale, è stato riscontrato sia un miglioramento della probabilità di concepimento, sia un ripristino del normale ciclo mestruale su una buona percentuale di donne precedentemente anovulatorie. Allo stesso modo, i gruppi di donne in sovrappeso sottoposti ad esercizio aerobico o dieta per 24 settimane hanno migliorato la ciclicità mestruale e l’ovulazione, con valori ancora più rappresentativi nelle donne che praticavano esercizio fisico, sia in termini di frequenza delle mestruazioni, che di tasso di ovulazione, con una tendenza a tassi di gravidanza più elevati e maggiori miglioramenti nel profilo ormonale. Probabilmente, anche questi miglioramenti nelle donne che praticavano attività fisica rispetto al gruppo sottoposto alla sola dieta, sono riconducibili ad un aumento della sensibilità insulinica, in quanto coinvolta nel rispristino della funzionalità ovarica.

Alla luce di tutte queste considerazioni, possiamo concludere che l’esercizio fisico può essere un ottimo strumento per migliorare le possibilità di concepimento e diminuire le eventuali complicazioni gravidiche nelle donne affette da PCOS. Infatti, l’esercizio fisico aiuta a regolare la sensibilità insulinica, con conseguenze positive sulla perdita di peso e il suo mantenimento, sull’assetto ormonale e quindi sul ciclo mestruale e sulle probabilità di ovulazione. Inoltre, abbassa i livelli di colesterolo e trigliceridi ed ha molti benefici in termini psicologici e di riduzione dello stress.

Resta da definire quali siano le modalità, i tempi e le intensità ottimali di somministrazione dell’esercizio fisico.

 

  • Obesità

Abbiamo già toccato nel precedente capitolo il tema del sovrappeso e dell’aumento di peso e di come un abbassamento del BMI possa portare ad un miglioramento della composizione corporea, con una serie di benefici sia a livello fisico che psicologico. Negli studi relativi alle donne in sovrappeso con PCOS, però, non è chiaro se i miglioramenti che hanno portato ad una maggior probabilità di concepimento e di gravidanza con esito positivo siano dovuti alla perdita di peso e di grasso viscerale o ad altri cambiamenti. Occorre, perciò, ricercare altri studi che approfondiscano la relazione tra sovrappeso/obesità-esercizio fisico-infertilità, in cui non siano coinvolte donne che presentano una diagnosi di PCOS e che, quindi, abbiano come causa di infertilità il sovrappeso non associato alla condizione di cui abbiamo parlato precedentemente.

L’obesità (BMI maggiore o uguale a 30) è una malattia cronica in costante crescita, caratterizzata da un eccesso di tessuto adiposo, che può aumentare il rischio di una serie di altre patologie o disfunzioni, tra cui diabete mellito di tipo 2, dislipidemia, ipertensione, malattie coronariche, alcuni tipi di tumori a carico del sistema riproduttivo, ictus, osteoartrite, depressione, bassa autostima e infertilità. Gli effetti di questa patologia sul sistema riproduttivo sono dovuti al suo impatto sull’ovulazione e di conseguenza sui cicli mestruali, i tassi di fertilità e fecondità naturali, i tassi di successo dei trattamenti per l’infertilità, la loro sicurezza e gli esiti ostetrici.

Le donne obese, infatti, presentano spesso irregolarità del ciclo mestruale, amenorrea o oligomenorrea, disfunzioni ovulatorie, con un’incidenza proporzionale all’aumento del valore di BMI. Oltre al peso corporeo, anche la distribuzione del grasso corporeo influenza la funzionalità riproduttiva: le donne anovulatorie hanno una circonferenza vita maggiore e più tessuto adiposo viscerale rispetto a donne con cicli mestruali ovulatori e BMI simile. Questo può causare insulino resistenza o iperinsulinemia, con le conseguenze di cui abbiamo già parlato nel paragrafo dedicato alla PCOS e che portano ad irregolarità mestruale per l’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. A questo associamo anche disfunzioni ormonali di FSH ed LH, con valori che si differenziano in base al BMI.

Nell’uomo, l’obesità può comportare una diminuzione della qualità del liquido seminale e della fertilità a causa di alterazioni endocrine, disfunzioni sessuali e altri problemi medici tra cui il diabete mellito o l’ipertermia scrotale. Il profilo ormonale degli uomini obesi indica una minore concentrazione di testosterone, con conseguenze sull’asse ipotalamo-ipofisi-testicolo e quindi ridotta secrezione di gonadotropine. Questo porta ad una riduzione della conta spermatica che, assieme parametri come la motilità degli spermatozoi, lo stress ossidativo nel liquido seminale ed altri, causa una maggiore probabilità di infertilità, di incorrere a difficoltà nelle tecniche di procreazione assistita, di aborti o addirittura di incorrere in implicazioni negative per la prole.

Ma come può l’esercizio fisico intervenire in questo quadro così complesso?

Si è già parlato degli effetti benefici sul sistema endocrino e sulle secrezioni ormonali (ripristino dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, diminuzione del cortisolo, aumento della sensibilità insulinica), che nei soggetti obesi sono spesso disfunzionali o addirittura compromessi. Questo è dovuto sia ad un aumento o diminuzione della secrezione di alcuni ormoni dovuto proprio all’esercizio fisico, sia alla diminuzione del peso corporeo e del grasso viscerale, che a sua volta scatena modificazioni positive anche sulla conta ormonale, responsabile del ripristino della fecondabilità; una recente revisione sistematica ha dimostrato che la perdita di peso derivante dalla dieta e dall’esercizio fisico moderato è associata a maggiori possibilità di gravidanza, ad una migliore ovulazione migliorata ed a regolarità del ciclo mestruale.

È stato dimostrato come soggetti obesi che praticano esercizio fisico regolare, oltre a sottostare ad una dieta restrittiva per favorire il deficit calorico e quindi il dimagrimento, hanno maggiori probabilità di recuperare la loro funzionalità riproduttiva, grazie proprio a meccanismi di adattamento corporeo riferibili all’attività fisica. Alcuni studi sulle donne obese hanno confermato un aumento della fecondabilità nei soggetti che praticavano attività fisica associata alla dieta, indipendentemente dall’intensità dello sforzo.

 

  • Stress

Oltre che da cause “fisiche”, l’infertilità può essere dovuta anche a stress prolungato a cui il sistema corporeo non riesce più a rispondere in maniera fisiologica. A volte è proprio l’assenza di una gravidanza a fornire questo “stressor” prolungato, sia a causa delle pressioni psicologiche indotte direttamente o indirettamente dalla società e dall’ambiente in cui viviamo, sia dalle difficoltà che possono emergere nella coppia stessa a causa di una mancata o tardiva genitorialità.

Abbiamo già visto che il corpo umano risponde allo stress prolungato con un accumulo di “ormoni dello stress” (tra cui il cortisolo e l’adrenalina), che nel lungo termine può portare a conseguenze sul sistema riproduttivo; uno studio americano ha dimostrato come un accumulo di questi ormoni abbassi la probabilità di una gravidanza. Inoltre, lo stesso studio ha confermato che situazioni di stress prolungato possano produrre aumento di prolattina e di LH, che possono interferire con la maturazione dell’ovocita, causando quindi alterazioni ovulatorie e del ciclo mestruale.

Nell’uomo, uno stress prolungato può aumentare il rilascio di ormoni steroidei, che influenzerebbero negativamente i livelli di testosterone ed andrebbero ad incidere sulla qualità dello sperma, riducendone il volume, la motilità e la concentrazione degli spermatozoi. Solitamente, questi effetti negativi rientrano nel momento in cui termina l’evento stressante.

Ci sono però delle situazioni in cui lo stress è cronico e, nel lungo periodo, può amplificare i suoi effetti e il suo impatto negativo sulla fertilità, che a sua volta può essere causa di ulteriore stress, creando un circolo vizioso. Lo stress è quindi una delle cause dell’infertilità, ma ne è anche una conseguenza: molte coppie che si sottopongono a trattamenti per la cura della fertilità, come la PMA, riferiscono che lo stress psicologico è quasi maggiore rispetto a quello fisico, portando anche a situazioni di ansia e depressione.

L’esercizio fisico aumenta la produzione di serotonina, dopamina ed endorfine, i cosiddetti “ormoni del benessere”, che a loro volta inibiscono cortisolo, insulina ed altri ormoni secreti in condizioni di stress; questo porta il soggetto ad una sensazione di benessere, concilia il sonno, aiuta a combattere lo stress e lo stato eventuale di ansia.  Molto spesso, però, deve essere associato a trattamenti farmacologici o complementari, come le tecniche di rilassamento, la meditazione e l’ipnosi.

Uno studio iraniano si è concentrato proprio sull’effetto delle tecniche di rilassamento sulle donne infertili che si stavano sottoponendo a trattamenti per la fertilità e che sottolineavano come gli stessi fossero fonte di stress.

Alle donne è stato chiesto di compilare un questionario per rilevare il loro livello di stress prima dell’inizio del ciclo di esercitazioni; la prima tecnica di rilassamento associata alla respirazione è stata praticata il settimo giorno del ciclo e poi ogni altro giorno fino al trasferimento dell’embrione in utero (totale di 6 sessioni). I soggetti hanno poi continuato a giorni alterni la pratica per altre 6 sessioni, eseguendo da casa, poiché messe a riposo per agevolare l’impianto. Una volta tornate in laboratorio per effettuare il test di gravidanza, hanno completato il questionario sul livello di stress.

Lo studio ha dimostrato che, se nel questionario iniziale il valore di stress tra gruppo operativo e gruppo di controllo era pressoché uguale, al termine delle sessioni quello del gruppo di controllo si era alzato, mentre era notevolmente diminuito il valore di stress delle donne che si erano sottoposte alle pratiche di rilassamento.

Anche qui possiamo vedere come l’utilizzo del nostro corpo può portare benefici alla stregua di terapie farmacologiche, ma senza il dispendio economico e gli effetti collaterali che queste ultime portano con sé.

 

Conclusione

Possiamo concludere che l’esercizio fisico moderato porti benefici sull’intero sistema corporeo; analizzando le cause dell’infertilità e gli studi ad esse correlati risulta chiaro come l’attività fisica abbia effetti positivi anche sull’apparato riproduttivo, influenzando le secrezioni ormonali, allenando l’organismo nella gestione dello stress, mantenendo sotto controllo il peso corporeo, aumentando la capacità anti infiammatoria, migliorando il benessere psicologico. Questo influenza positivamente anche le probabilità di concepimento e di portare a termine una gravidanza con esito positivo.

Ci sono, però, anche alcuni casi in cui un eccesso di esercizio fisico risulta controproducente, soprattutto quando esso è molto intenso e prolungato nel tempo.

Alla luce di queste considerazioni, sarebbe auspicabile che l’esercizio fisico venisse considerato come la prima “terapia” da somministrare nei casi di infertilità; sicuramente il soggetto coinvolto ne trarrebbe solo benefici, sia in termine di salute, che di impatto economico, oltre ad essere certamente meno invasiva rispetto ad alcuni trattamenti. Ovviamente, nel caso non se ne riscontrasse un’efficacia sufficiente a risolvere la problematica, andrebbe integrato con altri trattamenti: si è visto, infatti, come l’esercizio fisico associato a terapia farmacologica, dieta, trattamenti per la fertilità, amplifichi i risultati degli stessi.

Gli studi futuri avranno il compito di stabilire le caratteristiche ottimali dell’attività fisica, sia in termini di tipologia, che di intensità e di durata.

 

Fonti

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  • Sara Compagni. Postura da Paura
  • World Health Organisation (WHO), 2010. Global recommendations on physical activity for health
  • Lenzi A, Lombardi G, Martino E, Trimarchi F. Endocrinologia e attività motorie.
  • Monaco F. Endocrinologia clinica
  • Maria Rosaria Ambrosio, Mariella Celico. Modificazioni ormonali in corso di attività sportiva
  • García JJ, Bote E, Hinchado MD, Ortega E. A single session of intense exercise improves the inflammatory response in healthy sedentary women
  • Riccardo Banducci, Carlo Giammmattei, Francesco Banducci, Alberto Tomasi. L’immunodepressione indotta da attività sportive di endurance
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